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- La moneta d'oro. Realtà e metafora
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Metafora di avidità e perfezione
LA MONETA D'ORO: ASPETTI ECONOMICI, TECNICI E SIMBOLICI
Autore: Claudia Perassi
Il valore metaforico negativo annesso alle monete d'oro è tratteggiato con vivacità nel capitolo "Io, la moneta" del capolavoro di Orhan Pamuk Il mio nome è Rosso, nel quale una moneta falsa, prodotta a Venezia a imitazione di una sultana ottomana da 22 carati, racconta la propria vita avventurosa nella Costantinopoli della fine del XVI secolo. "Mi è stato continuamente rinfacciato che ormai, oltre a me, non esiste più un valore, che sono spietata, cieca, che amo anch'io il denaro, che il mondo, purtroppo, è fondato su di me, che posso comprare tutto, che sono immonda, vile, vigliacca. Chi ha capito che sono falsa si è comportato con ancor più rabbia e mi ha detto cose addirittura peggiori. Diminuendo il mio valore reale, aumentava il mio valore metaforico".
All'opposto si pongono due terzine del canto XXIV del Paradiso di Dante Alighieri, nei quali una moneta, certamente d'oro poiché definita splendente, diventa metafora della fede pura e perfetta nella qualità e nella quantità. San Pietro, che sta esaminando la fede del poeta, dopo aver riconosciuto che Dante è stato in grado di saper valutare assai bene la lega e il peso "d'esta moneta", ossia del concetto di fede, gli chiede se la possegga nella sua "borsa". Il poeta risponde di possederla, così splendente e così intatta, che non ci possono essere dubbi sul suo conio.
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Sultana di Murâd III
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Fiorino di Firenze
Fiorino di FirenzeFirenze, repubblica, fiorino, secondo semestre del 1319 (mm 18; gr 3,54)
'Così spirò di quello amore acceso; / indi soggiunse: Assai bene è trascorsa / d'esta moneta già la lega e 'l peso; / ma dimmi se tu l‘hai nella tua borsa. / Ond’io: Sì, ho, sì lucida e sì tonda, / che nel suo conio nulla mi s‘inforsa'
(Dante Alighieri, Paradiso, XXIV, 82-87